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"Scalando il cielo" di Gino Perri non è una autobiografia, neppure un saggio politico, un romanzo di formazione. È la storia di un uomo che ha scalato il cielo dalla Calabria alla Milano operaia, scegliendo la politica dal basso, quella che non si fa più, dei fatti concreti, e il sindacato di base che non fa compromessi o finti accordi. La vita di Gino Perri corre parallela con la storia di una parte del paese che sognava un cambiamento radicale, una trasformazione culturale, la ricerca di un pensiero critico, un'opposizione ai modelli di sviluppo capitalistici. Quel cambiamento purtroppo non c'è stato, ma rimangono i sogni e le idee di una generazione che voleva non solo scalare, ma anche assaltare il cielo. Leggere questo libro è come sfogliare le pagine di un diario, dove le parole annodano date, luoghi, fatti e perfino orari. Qui non c'è il rammarico di una sconfitta. Qui c'è il coraggio e la forza di un uomo libero che ancora oggi dimostra quanto la solidarietà sia il vero modello politico da seguire.
Daniele Biacchessi
SCALANDO IL CIELO di Gino Perri è un libro autobiografico che dispiega, con uno stile piano e chiaro, ma appassionato e coinvolgente, un pezzo della storia dell’Italia vissuto in prima persona, nella prima parte della sua vita, da un operaio immigrato da un piccolo paese calabrese (Scala Coeli, da cui anche il titolo del libro) a Milano, alla fine degli anni’60 del secolo scorso. La seconda parte di questa vicenda esistenziale sarà oggetto di un altro volume, ancora in preparazione. Quale Storia dell’Italia? Non quella ufficiale, ormai consegnata alla codifica degli storici di professione, né quella che si può ricostruire a partire dalla lettura dei giornali dell’epoca, che hanno fatto di tutto per nasconderla, bensì quella agìta e subìta da chi ne è stato un protagonista, insieme a milioni di altri proletari, ma certo non tutti gli italiani. Agìta, come membro attivo – anzi, superattivo – di una classe operaia che per quasi un decennio ha impresso con la lotta il suo marchio sul percorso di tutto il paese: una fase quasi epica in cui la consapevolezza della propria forza, che non era certo “caduta dal cielo”, ma era stata costruita in modo molecolare dai suoi protagonisti, squadra per squadra, reparto per reparto, fabbrica per fabbrica, quartiere per quartiere, e anche paese per paese, li aveva convinti non solo di poter “scalare il cielo” (La classe operaia va in paradiso), ma anche, forse, di arrivare alla meta. Subìta, perché quella fase non è stata risparmiata dai contraccolpi: dalle tante iniziative del potere, la repressione padronale, le menzogne dei media, le stragi e i tentativi di golpe messi in atto dai fascisti e
dagli apparati della Stato per stroncare quelle lotte; ma soprattutto perché al termine di quella fase, per alcuni anni vincente, i suoi protagonisti si sono ritrovati a dover fare i conti con un clima sociale e politico, a livello sia nazionale che internazionale, completamente e rapidamente cambiato in peggio. Vedremo nel prossimo volume come Gino Perri e i suoi vecchi e nuovi compagni di lotta sono riusciti a tenere la barra diritta in anni che non hanno offerto più molti spunti per la ripresa delle lotte contro il potere; e se, e quando li hanno offerti, quegli spunti non hanno incrociato attori collettivi capaci di trasformare le loro mobilitazioni in un percorso di crescita e di maturazione in grado di solidificarsi (è questo, per esempio, il caso dei Fridays for Future, una esperienza in cui Gino ed io ci siamo incontrati come membri anziani di un movimento composto essenzialmente da giovanissimi studenti). Ma questo fa parte della storia ancora da scrivere nel prossimo volume. Per ora questo esercizio autobiografico si ferma a quando Gino è ancora solo un quarantenne. Ma già negli anni della “Milano da bere”, e proprio per reagire a quel clima soffocante, Gino, pur impegnato in un corpo a corpo continuo per difendere il posto di lavoro - quello suo e di tutti i lavoratori e le lavoratrici della Face Standard, poi Alcatel, in via di smantellamento, dove era stato assunto all’inizio degli anni ’70 – aveva sentito il bisogno di affiancare all’impego in un sindacato di base e in organizzazioni della sinistra radicale anche un’intensa attività culturale in MetroMondo, un’organizzazione che aveva contribuito a creare, e nell’impegno nella cooperazione internazionale a sostegno prima del Nicaragua e poi di Cuba. Il tema di fondo che attraversa, forse anche inconsapevolmente, la “trama” di questo libro, che è la trama di una vita, ma anche di un intero paese, è proprio questo: quanto la storia la si sia agìta e quanto la si sia subìta. Che nella prima fase di questa vicenda di Gino Perri sia indubbiamente prevalso l’agire è fuor di dubbio: non solo nelle tante piccole fabbriche frequentate, a volte venendo licenziato, spesso abbandonandole per non subire le prepotenze e lo sfruttamento da part dei loro padroncini – ma era un periodo in cui trovare un lavoro a quelle condizioni non era difficile – ma poi soprattutto nella Grande Fabbrica. Erano loro, gli operai delle grandi fabbriche, a imporre i temi, i modi e i temi della lotta; a partire dalle rivendicazioni egualitarie che sono state la cifra di quegli anni, non solo in fabbrica, ma in tutti gli ambiti del lavoro e in molti dei quartieri dove si svolgeva “l’intervento sul sociale” nel quale Gino era impegnato non meno che sul posto di lavoro. Tanto quel movimento era forte e diffuso in tutti gli ambiti sociali, dalle fabbriche ai quartieri, dalle scuole all’università, dagli ospedali alla Pubblica amministrazione, dai pescatori ai pastori e ai disoccupati, che aveva raggiunto persino l’esercito – e poi anche la polizia e persino i carabinieri: le loro organizzazioni sindacali nascono di lì. A costituire l’ala “militare” di quel sommovimento generale erano i soldati di leva, i “proletari in divisa” (PID) a cu Gino si era subito associato non appena richiamato per il servizio militare: tutti lavoratori e molti studenti o ex studenti, in parte già politicizzati nelle lotte condotte precedentemente, in parte politicizzati proprio attraverso la partecipazione al movimento dei soldati. Ragazzi costretti per oltre un anno a sottostare ai comandi dispotici e insensati di ufficiali in carriera, quasi sempre fascisti, che obbligavano i sottoposti a sforzi pesanti e a rischi gravissimi, ma che venivano messi spesso con le spalle al muro dalla ribellione dei soldati organizzati; che promuovevano scioperi del rancio, manifestazioni di massa (in divisa! Protetti dai compagni “esterni” alla caserma che li sostenevano), rivendicazioni di un miglioramento delle loro condizioni e presidi contro l’eventualità che l’esercito potesse venir usato per un colpo di stato. La leva obbligatoria in Italia è stata abolita perché le autorità militari non erano più in grado di garantire l’obbedienza di quella truppa… Ma era stato vincente, agìto, pur nella drammaticità vissuta in prima persona, anche il trasferimento dal paese natio a Milano. Dal sole, dall’aria libera, dai prati e dal calore di una comunità di poche centinaia di persone che si conoscevano tutte tra loro alla nebbia, al freddo, al caos e all’anonimato profondo di Milano, in una società che promuove l’estraneità: un salto solo in parte attenuato dal sostegno di alcuni parenti che lo avevano preceduto in quella trasferta, pronti a prestargli ogni sorta di aiuto. E’ questo un percorso scelto “per necessità”, ma non imposto, che in quegli anni aveva accomunato migliaia e migliaia – milioni – di proletari come Gino, alla ricerca di un lavoro in condizioni che per tutti sono state simili alle sue, e per molti anche più difficili. Bellissima e folgorante rappresentazione di questa vicenda è il racconto della partenza e del viaggio di Gino e dei suoi famigliari dal paese natio alla metropoli industriale: tutto il paese riunito a salutare la famiglia stipata in un’automobile sgangherata, con il tetto coperto da un cumulo di bagagli ammonticchiati, e poi un viaggio quasi senza sosta in quelle condizioni durato due giorni. Agìti o subìti? Quei viaggi, quella decisione, quei trasferimenti che hanno cambiato l’Italia?
Altrettanto stimolante è l’altro lato dell’attività di Gino iniziata e conclusa quasi per caso negli anni dell’epopea vissuta dalla lotta operaia: la musica e il suo ruolo di cantante in un complessino; il suo intreccio con l’Underground di Milano, in quegli anni rappresentato soprattutto dalla rivista Re nudo e da Andrea Valcarenghi, allora non ancora Majid: un altro aspetto fondamentale, e non meno importante della lotta operaia, del clima che ha lasciato la sua impronta non solo sulla storia dell’Italia, ma in questo caso anche sul panorama internazionale.
In mezzo, la vicenda tristissima della morte di due fratelli e una sorella e quella gioiosa dell’incontro con la compagna della sua vita, dopo un’intensa sperimentazione di legami che non si volevano saldare: a ricordare quanto la vita pubblica che concorre a fare la storia sia indissolubilmente intrecciata con quella personale che non passa mai in secondo piano.
Infine, l’avventura di MetroMondo: un’esperienza che ricorda da vicino quella della Macondo di Mauro Rostagno, entrambi ricettacoli e punti di riferimento per tanti compagni e tante compagne, perché in quel nuovo clima, assai cupo, che non era certo fatto per loro, non si disperdessero, non si lasciassero sopraffare dallo sconforto, dalla delusione, dalla disperazione. Dirompente e radicale la prima, Macondo, e proprio per questo durata poco; più modesta, più pensata, più costruita quella di MetroMondo, e per questo capace di durare.
Qui il rapporto tra agire e subire – vedremo come si svilupperà nel secondo volume – va sicuramente incontro a un nuovo equilibrio. Il clima generale è quello di una controffensiva vincente del capitale, dei padroni, delle forze politiche (tutte: di destra, di sinistra e di centro). L’agire, in fabbrica, contro il progressivo smantellamento degli impianti, come in campo culturale e nella cooperazione internazionale, per dare concretezza alla solidarietà, è senza dubbio riconducibile a una attività di resistenza e non di attacco; ma proprio per questo è fondamentale. Gino Perri, come decine di compagni e compagne in questa sua avventura e migliaia e migliaia di loro simili dispersi nei paesi e nei quartieri di ogni città, si sono adoperati per tenere viva, nei modi più diversi, la scintilla di iniziative che hanno mostrato a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incrociarli che la vita, anche in tempi difficili, può essere varia e interessante, e vale la pena di essere vissuta.
Guido Viale
Non c'è nulla di banale o di scontato in questo racconto autobiografico di Gino Perri. Sono pagine intense di vita, di origini, di nuove radici, di bellezza, di amore, che non nascondono drammi e sconfitte, ma anche la capacità e la forza, sempre, di ricominciare e reinventarsi. Quello che si avverte, divorando una pagina dopo l'altra grazie a una scrittura chiara e immediata, è l'intensità di una vita vissuta nel e per il collettivo, spesa, e mai svenduta, in un Noi per cui mettersi a disposizione, con entusiasmo, malgrado nulla sia semplice e assolutamente nulla si possa mai dare per scontato. Non tutti hanno la capacità di saper vedere senza limitarsi a guardare come è riuscito a fare Gino con quella curiosità intelligente, sua meravigliosa caratteristica, che lo ha portato non solo a avvicinare le persone, ma a mettersi a disposizione, a confrontarsi senza supponenza, a proporre, sostenuto da valori acquisiti con anni di lotta sul campo, consapevole che i diritti si conquistano con l'impegno e, con gli altri, si può cercare di fare la differenza. E mentre la Storia si compie, e in questo libro se ne racconta tanta dalla strage di piazza fontana al G8 di Genova, dalle lotte sindacali agli assassinii di Fausto e Iaio e di Luca Rossi, Gino è attore e non comparsa, partecipa a dibattiti e manifestazioni, fa attività sindacale e politica nel senso più ampio e vero del termine anche con l'attività culturale dell'associazione Metromondo. Non è un libro autocelebrativo quello di Gino Perri, una biografia da piedistallo, è vita vissuta con tanta buona fede, entusiasmi, qualche delusione, ma soprattutto, con un impegno che non è mai venuto meno e ancora tanto da vivere e raccontare. Un libro che in questi tempi, in cui la notte si spinge sempre più in là, fa bene, davvero.
Claudia Pinelli
Tutto il senso del libro scritto da Gino sta nel titolo, “Scalando il cielo” perché il suo è il racconto di una scalata che ancora oggi continua e che ha inizio nella terra di Calabria dove lui sguazzava felice. “Tornavo a casa da scuola, mangiavo pane e sardella e poi sgattaiolavo via come un fringuello. Venivo chiamato così perché andavo in campagna scalzo da solo o ad aiutare mamma e papà …”. Nelle pagine si narra una storia personale che si intreccia con la Storia del nostro paese dagli anni cinquanta ad oggi e dove chi ha l’età di Gino, riesce a ritrovare qualcosa del suo personale cammino anche se percorso in ambiti diversi. E’ un racconto sincero, umano. Chi scrive non teme di mettersi a nudo anche con le sue sconfitte, le sue debolezze. In diverse occasioni Gino non ha difficoltà a dire di aver pianto senza vergognarsene. Un modo di presentarsi non scontato. Un racconto che è pure quello di un’ evoluzione sul piano personale ed il rapporto con il femminismo ne è un esempio. Una storia non solo “politica”. Non è infatti il semplice racconto delle lotte in fabbrica, è pure lo svelare la propria passione per la musica, il teatro, la poesia, per tutto ciò che è creativo, di voglia di sognare e purtroppo pure di rinunce. Penso al non poter frequentare, dopo la terza media, la scuola di arte drammatica di Paolo Grassi. A casa, come in molte altre famiglie in quegli anni di forti sacrifici, ad uno stipendio in più era difficile dire di no.Un racconto dove le scelte sono dettate dalla libertà di non farsi strumento di un partito, di un sindacato: libertà di pensiero, di critica. Una storia dove ha il suo peso anche l’ironia nell’affrontare, ad esempio, sul lavoro momenti difficili. Penso all’episodio della hit parade delle canzoni: una strategia che permette a Gino di sopportare l’isolamento e l’umiliazione a cui è sottoposto in fabbrica per la sua attività sindacale. C’è un filo conduttore in tutti i momenti narrati: mai farsi abbattere, mai dare spazio alla sconfitta, “stringere i denti”. Ricominciare a ricostruire, con un atteggiamento costante: aggregare. Da soli non si va lontano! Il libro ha anche un intreccio fondamentale con un altro aspetto della vita di Gino: la sua famiglia e, in particolare, la figura della mamma che emerge sin dalle prime pagine con la sua storia di dolore, ma da sempre capace di profonda vicinanza con il figlio, nel saperlo accogliere e capire. Del racconto di Gino voglio soffermarmi su alcuni momenti. Le prime prime pagine dedicate all’infanzia calabrese e all’impatto con la città di Milano, colpiscono profondamente e richiamano alla memoria il film “Rocco e i suoi fratelli”, girato proprio nei luoghi vicini a dove poi Gino andrà a lavorare nella grande fabbrica. L’arrivo nella metropoli riporta all’esperienza delle tante famiglie che in quegli anni emigravano dal Sud; il dolore nel dover lasciare il paese, ma anche il desiderio di migliorare, la partenza vista come un salto sia culturale che economico che professionale; il viaggio a tappe su una 600 stracolma di pacchi e persone; le fermate per sgranchirsi le gambe; l’accoglienza dei figli già sistemati in qualche quartiere di periferia; l’appartamento di città con tutte le comodità che deve ospitare otto persone!; la scoperta di essere un terùn; la fatica di inserirsi in un mondo con punti di riferimento da costruire; il mutuo da cominciare a pagare... A Milano si deve crescere in fretta e questo, dopo la terza media, significa per Gino cominciare a lavorare. Prima di arrivare alla grande fabbrica, c’è il susseguirsi di assunzioni nelle piccole fabbriche. “Comincio a lavorare in una piccola tipografia… Mi pare che guadagnassi 7 o 8 mila lire alla settimana naturalmente in nero. Una vitaccia, mi sentivo già vecchio a 15 anni”. Sfruttamento, nessun diritto, capi e capetti, condizioni lavorative senza alcun orario e protezione sindacale, ambienti mal sani, scioperare impossibile …Condizioni di lavoro che non migliorano neppure con lo Statuto dei lavoratori del Maggio del 1970, che per esempio escludeva la giusta causa per i licenziamenti in aziende con meno di 15 dipendenti. Mentre Gino lavora in diverse piccole fabbriche, muove i primi passi in politica nel quartiere e nella scuola serale. Sono anni segnati da uno snodo fondamentale: il 1969, un anno “davvero storico e sconquassante”: assemblee, volantinaggi, manifestazioni studentesche e di operai delle grandi fabbriche, occupazioni... Gli inizi degli anni '70 racchiudono il racconto di una tappa importante della vita di Gino, una tappa che mi ha riportato alla mente un movimento di lotta forse dimenticato: l’inizio dell’impegno politico di alcuni militari di leva all’interno delle caserme. I mesi del servizio militare sono pagine eloquenti della assurdità della vita militare: “Non riuscivo a rassegnarmi a quella violazione assurda e costante di ogni livello minimo di rispetto della dignità e dei diritti umani”. Oggi quella dei proletari in divisa per molti è forse una lotta dimenticata, ma ha richiesto un grande coraggio e Gino ne dà una testimonianza personale. Si lotta contro le nocività delle condizioni di vita in caserma, le gerarchie militari ed i loro abusi e per ottenere l’aumento della diaria, una mensa dignitosa, il diritto di parola e di assemblea in caserma e l’elezione di rappresentanti. Protestando si rischiava di finire a Peschiera. Il libro di Gino lo considero un regalo bellissimo alle sue figlie e alle nuove generazioni perché racconta l’esperienza di vita di un operaio, di un uomo, di un padre che ha cercato di non arrendersi, rimettendosi sempre all’opera nonostante tutto.
Daniela Rossi
Comprato il libro il 20 aprile: “Gino, lette stanotte 100 pagine, un libro molto umano, bravo!” Il 21 Aprile sera: “Finito di leggere il libro di Gino Perri: “Come ho già detto un libro umano, offre una ricostruzione preziosa (per me che sono distratta) e una riflessione generosa dei nostri anni, grazie Gino!"
Marinella Sanvito
Ho letto il romanzo autobiografico di Gino. Ci ho messo un po’ perché volevo leggerlo con calma. Il tempo che mi è occorso per leggere il libro è inversamente proporzionale alla sua qualità. L’ho trovato molto interessante e si legge facilmente. Si raccontano avvenimenti personali e della famiglia di Gino intrecciati però con la storia del nostro Paese... Un tassello utile a ricostruire il mosaico storico di quegli anni così importanti che altrimenti rischierebbe di andare perso. Un mosaico che ancora non è finito e chiuso. Sono sicuro che molti lettori ricordando episodi raccontati nel libro potrebbero esclamare: Gino sono io! Quando si dice la storia vissuta da protagonista: la storia siamo noi... ma Gino un po’ di più. Un saluto alla famiglia e naturalmente a Gino. Complimenti!
Antonio Cornacchione
Ho finito di leggere il libro "Scalando il cielo" di Gino Perri, un amico di Milano, conosciuto a Bosco, frazione di San Giovanni a Piro (SA) nel 2016, durante una mia guida alla mostra intitolata al pittore José Garcia Ortega. Ci ho messo un po' a leggerlo, alcuni passaggi li ho trovati molto avvincenti. Nella prima parte c'è la bellezza, la meraviglia di una realtà fatta di cose semplici: l'infanzia e la voglia di mangiare il mondo, quel piccolo mondo di cui Gino era il protagonista, ma che ancora stentava nel far uscire il personaggio, l'uomo che successivamente avrebbe costruito il suo essere, un po' come il filo di una trama a ritroso che fatica a ricomporre il gomitolo…
Una trama che si mescola e si attorciglia in una vita che ha ondeggiato e si è plasmata attraverso percorsi politici vissuti, soprattutto quelli degli anni '70, anche con tragedie personali, che per molti versi… ricordano un romanzo di Verga. Una realtà evidente e pungente che fa male sia fuori che dentro l'anima, arrivando a modificare la percezione di ciò che abbiamo e ciò che viviamo. Eppure come alla fine di un tunnel, Gino ritrova quella luce che gli riporta forza e voglia di non mollare, di vivere in un mondo più sereno, l'amore per Margherita e un nuovo nucleo familiare. Una storia fatta di cadute e rialzi, di viaggi e speranze, di insuccessi dolorosi, ma anche di forza di volontà costruita sulla sua coerenza politica, con riscontri e confronti maturati attraverso personaggi che si sono susseguiti dietro "le quinte" di una vita inquieta, lavorando in silenzio.
Vita… spesa nella costruzione di un suo sogno… Un ideale maturato lentamente ma con un fare persistente, scegliendo infine... di divulgarne una parte per lasciare una riflessione da offrire al lettore. Grazie Gino!
Anna Sorrentino
Il libro di Gino mi è arrivato con diversi preannunci. Le intenzioni e le premesse mi sembravano già buone e convincenti, inoltre, conoscendo parte del suo percorso pubblico e politico come animatore di prestigiose iniziative culturali nella città (ma soprattutto soprattutto come persona generosa e "per bene"), non potevo che aspettarmi ciò che ho trovato, leggendolo. Quando incontro qualcuno che ha qualcosa da dire artisticamente la mia attenzione si sofferma su alcuni dettagli, tanto sono imprescindibili ed hanno lo stesso peso del contenuto, nella sua totalità. Il libro di Gino Perri parte benissimo già dal titolo: perfettamente azzeccato e già portatore di sorprese che si svelano immediatamente e creano il giusto presupposto per essere accompagnati nella sua storia, che è la storia di molti di noi.
Difficile non ritrovarsi empaticamente e al di là delle differenze generazionali, nella biografia di un uomo che ha saputo descrivere fatti, sensazioni e contesti urbani e lavorativi con estrema sincerità e semplicità. Quest'ultima intesa come qualità, che quindi non banalizza ma ben si accompagna al resto e che rende ogni lettrice o lettore partecipe o osservatore di un mondo davvero ben raccontato e descritto. Una Milano che si specchia in una storia operaia, fatta di militanza, impegno e amore per la vita come esperienza collettiva e di condivisione. Giusto quello di cui - considerando i nostri attuali scenari - abbiamo ancora immenso bisogno.
Anna Caporusso